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Due o tre cose sulla fotografia culinaria. Le chiediamo a Crescenzo Mazza

Crescenzo Mazza | Baciami in Cucina

 

Crescenzo Mazza, napoletano, intraprende la carriera di fotografo pubblicitario all’inizio degli anni 90’ girovagando tra New York, Milano e Parigi. Questo periodo gli ha permesso di lavorare per fotografi con personalità e stili diversi. A Parigi ha collaborato con Slow Food Francia realizzando una serie di ritratti di proprietari di bistrot parigini con il giornalista Roger Feuilly. Questi ritratti vengono in seguito pubblicati su Paris Capitale e Wine&Spirits Magazine.
Dal 2002 collabora con la Don inc di Miami  per le produzioni americane ed è rappresentato a Londra da Fletcher’s managment. Nel 2010 fonda la Dinamo Production, agenzia molto influente del settore della moda. Le sue foto sono state pubblicate sulle maggiori riviste di moda quali: Amica, Glamour, Uomo Vogue, Flair, Vogue Italia, Marie Claire, Cosmopolitan, Grazia.

Decidiamo di condurre l’intervista nel suo bellissimo studio impostandola come una divertente chiacchierata davanti al computer guardando, di tanto in tanto, qualche foto di cibo trovate in giro per il Web.
Abbandoniamo subito l’idea di parlare di tecnicismi, variabili e “trucchi” del mestiere e ci concentriamo sull’elemento più importante della fotografia culinaria.

Il Contesto.
Ciò che rende “appetitoso”, “poco interessante” o, a volte, “sgradevole” la foto di un piatto è l’idea che questa riproduce nella mente di chi la osserva.
Luci, saturazioni e filtri devono, quindi, riprodurre il contesto ottimale in cui quel particolare piatto viene servito.

Il Sushi, ad esempio, viene valorizzato meglio da una luce fredda proprio perché non incontra il fuoco e viene servito, in genere, in ristoranti che riproducono la sobrietà e la pulizia dell’architettura nipponica.
Un piatto di peperoni grigliati, invece, viene meglio valorizzato da una luce calda e intensa che ne lascia immaginare il profumo, il calore e il gusto.

L’ Allestimento.

L’altro elemento molto importante nella fotografia culinaria è l’allestimento del cibo.
Prima di fotografare una ciliegia, ad esempio, possiamo bagnarla lasciando che le gocce d’acqua catturate dalla foto ne esprimano la freschezza e la pulizia. La stessa cura va riservata, inoltre, alla scelta delle parti del cibo. Anche il grappolo d’uva più buono del mondo, ad esempio, avrà qualche chicco meno appariscente degli altri.
Quando fotografiamo il cibo, sostiene Crescenzo, ci troviamo dinanzi all’impossibilità di trasmetterne   in maniera diretta l’appetibilità e dobbiamo, quindi, concentrarci per fare in modo che questa possa essere immaginata. La fotografia, quindi, deve riprodurre nell’immaginario dell’osservatore ricordi, momenti e sensazioni legati alla bontà del cibo.
La bellezza, in genere, può essere trasmessa da una foto solo se questa è capace di rievocare nella mente di chi la osserva una serie di messaggi, immagini o ricordi gradevoli.

La Luce.
L’elemento Luce, nella fotografia culinaria viene spesso utilizzato con la tecnica del “controluce”. Le foto scattate in maniera corretta che abbiamo trovato su Google Image hanno quasi tutte in comune una disposizione delle luci in grado di ricreare l’effetto di un raggio di sole che, da una finestra, illumina un piatto su una tovaglia chiara.

Con un Bank fotografico o una finestra aperta possiamo illuminare il cibo dalle spalle ricreando o riproducendo l’effetto della luce solare. Compensiamo successivamente le zone in ombra con pannelli riflettenti o spotlight.

La Pulizia.
Quando mangiamo un piatto di spaghetti lo osserviamo con superficialità nel suo insieme riservando molta attenzione, invece, alla singola “forchettata”. La mente umana, quindi, è più incline ad osservare e concentrarsi sulle singole parti di un piatto.

Con la regolazione del fuoco possiamo ricreare lo stesso effetto rendendo nitide e chiare solo le zone che ci interessano.
Quando fotografiamo un piatto con una mozzarella adornata con foglie di insalata e di pomodoro, ad esempio, regoliamo il fuoco rendendo immediatamente leggibile la superficie umida della mozzarella e sfochiamo gli elementi di contorno facendone perdere la maggior parte dei dettagli ma lasciandone percepire, comunque, la presenza.
È consigliabile, in questi casi, utilizzare obbiettivi macro.

Provare, provare, provare…
Il miglior modo per imparare a “fotografare il cibo” è, appunto, “fotografare il cibo”.

Non importa se lo facciamo con uno smartphone, una digitale compatta o una reflex. La cosa che conta è la capacità di migliorarsi, la costanza nel provare e la conoscenza della Luce: l’elemento che, più di tutti, ci mette visivamente in contatto con la realtà.

Dinamo Studio | Baciami in Cucina

Luogo dell’intervista: Dinamo Studio
www.dinamostudio.it


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